In un tempo remoto, gli Etruschi ne abitavano le colline, i Romani vi combatterono per espandere il loro impero, i monaci francescani vi predicavano la loro dottrina. L’Umbria è oggi uno dei centri enogastronomici più importanti dell’Italia: la nostra inviata Julia Karpova ha visitato questa antica terra e vissuto l’esperienza della caccia al tartufo.

L’Umbria non è di certo la meta più gettonata per un viaggiatore diretto in Italia. Regioni limitrofe come Toscana e Lazio, ad esempio, ma anche il Piemonte, nel nord del Paese, sono destinazioni in genere più popolari: e questo sebbene in Umbria non manchi nulla di tutto ciò di cui turisti esigenti, o novizi dallo spirito avventuriero, possano andare in cerca. Una cucina genuinamente italiana, i meravigliosi panorami a tinte verdi dai quali sarà impossibile staccare gli occhi, le opere architettoniche medievali perfettamente conservate, il retaggio del popolo etrusco e l’eredità spirituale lasciata da San Francesco di Assisi, uno dei santi più amati in Italia.

Proprio a Francesco è dedicato l’aeroporto di Perugia, pochi chilometri fuori dal centro, una struttura piccola che serve un numero esiguo di città: Milano, Catania, La Valletta, Londra, e Tirana. Ragion per cui molti visitatori sceglieranno di raggiungere Perugia in auto: Roma e Firenze sono a un paio d’ore di distanza dal capoluogo umbro.

Fra gli incentivi a visitare l’Umbria, quello che sembra spingere un numero sempre crescente di turisti a scegliere questa terra è sicuramente l’esperienza della caccia al tartufo, la cui stagione, almeno per il nero, ha inizio con l’autunno ed entra nel vivo in inverno (periodo buono anche per il bianco). D’estate (stagione del tartufo estivo), l’ostacolo più scomodo per la caccia è il clima torrido, ma in autunno, quando l’aria è frizzante e magari ancora umida di pioggia dopo un leggero temporale, le condizioni sono ideali sia per il cacciatore che per il suo cane.

Come funziona la caccia

Si parte alle 9. Arriviamo presso una piccola enoteca, la Vineria del Carmine, adagiata su un pianoro a poche centinaia di metri da La Bruna, villaggio incastonato fra colline verdeggianti. “Questa zona è da sempre rinomata per il tartufo nero”, ci accoglie il sommelier locale dell’azienda, Mattia, che ci accompagna ai piedi della foresta, dove ci aspettano Massimo Bianchi e il suo fedele cane Yuma, pronti a partire per la caccia.

“I tartufi crescono sottoterra, a una profondità variabile fra i 10 e i 30 centimetri, nell’area che circonda la pianta. Fra gli alberi più vocati, vi sono senza dubbio roveri, castagni e tigli. Ma ogni cacciatore di tartufo che sappia il fatto suo ha le sue zone segrete”, ci dice il nostro sommelier, traducendo dall’italiano. Massimo non ha dimestichezza con l’inglese. La caccia al tartufo è uno dei suoi hobby, che coltiva la mattina presto, molto spesso prima di iniziare il suo lavoro da poliziotto. Lui è un conoscitore esperto di funghi, ma ammette: “L’esito della caccia dipende sempre dal cane, senza il lavoro di Yuma, non avrebbe senso. Io devo limitarmi a fare attenzione, interpretare i suoi segnali, ed essere pronto a scavare all’occorrenza. Lei sa bene che, quando trova il tartufo, non dovrà mangiarlo”.

Un buon cane da tartufo, come requisiti di base, è dotato di un olfatto sviluppato, buona forma fisica, e resistenza. Yuma è l’orgoglio del suo padrone, che l’ha addestrata sin da quand’era un cucciolo ricreando artificiosamente per lei situazioni giocose di caccia. È importante che il cane si abitui a riconoscere l’odore del tartufo, e impari a lanciare al padrone un avvertimento della presenza del fungo: ogniqualvolta Yuma riconosce un aroma familiare, comincia a graffiare delicatamente il terreno sopra il punto individuato. La sua razza (lagotto romagnolo) è una specie molto portata per questo tipo di attività: Massimo ha da poco rifiutato ben venticinquemila euro per Yuma, che un acquirente interessato alle sue prestazioni sarebbe stato disposto a spendere. Il motivo che ha spinto Massimo a declinare l’offerta, tuttavia, appare chiaro dopo mezz’ora circa dall’inizio della caccia: con grande abilità e decisione, Yuma ha già localizzato con successo tre splendidi tartufi.

Storia del tartufo, prezzi, e proprietà peculiari

La fama del tartufo crebbe nell’antica Roma, e la sua natura rimase per lungo tempo un mistero per l’uomo. Considerato da alcuni come dono divino, altri, per la peculiarità del suo aroma, si erano convinti che questi funghi sotterranei fossero il cibo di spiriti maligni, streghe, e demoni.

Alla tavola di Luigi XIV, il tartufo non doveva mai mancare, così come era molto apprezzato da altri monarchi europei tanto che, presso molte corti, le battute di caccia al tartufo divennero attività ricorrenti e piuttosto popolari.

Oltre a un sapore squisito, il tartufo ha numerose proprietà benefiche speciali. È un potente afrodisiaco, e fonte di proteine e amminoacidi: una porzione contiene il 20/30% circa del fabbisogno giornaliero; alcuni esperti ritengono che il consumo di tartufo riduca il colesterolo nel sangue, prevenga il rischio di cancro, malattie cardiovascolari, e il sorgere di dolori reumatici; molti considerano anche il tartufo come un ottimo alimento per combattere l’insonnia, riequilibrare i livelli ormonali, e rafforzare le difese immunitarie; se ne fa uso anche come antiossidante, e nella produzione di cosmetici.

Oggigiorno, sono sempre più diffusi i tentativi di coltivazione artificiale del tartufo negli Stati Uniti, in Cina, Australia, e Nuova Zelanda. Ciononostante, gli esemplari che crescono in condizioni spontanee conservano caratteristiche di aroma e sapore uniche, indubbiamente superiori, qualità che si riflettono inevitabilmente sul prezzo dei prodotti.

Un chilo di tartufo nero fresco costa intorno agli 800 euro; per un chilo di bianco, si paga due o tre volte di più. L’elevato prezzo è una conseguenza diretta della rarità di questa specialità, le cui condizioni per lo sviluppo sono tuttora in larga parte ignote. Un tempo, la crescita del tartufo veniva associata alla presenza di fiumi e falde acquifere profonde nelle zone in prossimità delle aree produttive: questo consentiva in certi casi addirittura di mapparne la presenza, e predire in quali luoghi il tartufo si sarebbe manifestato. Ma al netto di questi tentativi, le previsioni fatte dall’uomo non si sono mai potute tramutare in una scienza esatta.

Come diventare un cacciatore

Leggenda narra che, il primo tartufo della storia fu trovato dalla scrofa di un povero contadino che, rapito dall’avidità con la quale il maiale gustava la sua preda, decise anch’egli di assaggiarla. Il fattore divenne il primo cacciatore di tartufi della storia e fu ben presto ricco.
Oggi in Italia l’impiego dei maiali è proibito e perciò non vengono più utilizzati nella caccia al prezioso fungo. La ratio alla base della norma è semplice: senza trascurare che la voracità dell’animale lo porterebbe a divorare il tartufo in un sol boccone, nell’atto di scavare il maiale distruggerebbe inoltre l’apparato vegetativo del fungo, impedendo così in futuro la formazione di altri tartufi.

Per essere in regola, occorre una licenza, sia per il cane, che per il cacciatore: quest’ultimo dovrà superare un esame teorico e uno pratico, oltre a pagare una tariffa annuale di € 112.00 per il rinnovo dell’autorizzazione. L’Umbria, regione da un milione di abitanti circa, vanta la presenza di circa 400 cacciatori di tartufi autorizzati: e il numero non è nemmeno così elevato come potrebbe sembrare. Cacciare senza licenza è considerato reato ed è un atto perseguibile dalla legge: lo stesso trattamento che riceve chi va a caccia di funghi e li vende senza autorizzazione.

Massimo è in possesso di tutti i permessi necessari, e la quantità media di tartufo che riesce a raccogliere con Yuma nell’arco di un paio d’ore è di circa due etti e mezzo. Ciò che trova, Massimo lo vende a pochi amici ristoratori e non ha alcuna intenzione di trasformare il suo hobby in business: il resto del bottino lo tiene per sé e la sua famiglia, che lo consuma regolarmente.

Al pari di tutti gli umbri coi quali ho parlato, anche Massimo ci scherza su e sembra consapevole del fatto che il tartufo sia l’ingrediente principe di ogni menu della tradizione locale: nei ristoranti perugini, questa delizia la si può gustare dall’antipasto al dessert.

Vino e tartufo nella valle della Chiesa del Carmine

La Vineria del Carmine è situata nel cuore verde d’Italia, a una ventina di minuti in auto da Perugia, vicino al confine con la Toscana. Nonostante la precedente, lunga tradizione enologica, dagli anni Cinquanta la valle della Chiesa del Carmine ha vissuto anni di abbandono durante i quali il vigneto non è stato produttivo. Finché una decina di anni fa un imprenditore inglese, deciso a riportare la valle all’antico splendore, ha acquistato la proprietà, e deciso di restaurare la chiesa del tredicesimo secolo (oggi occupata da un ampio salotto, sala da pranzo, e cucina), l’adiacente residenza rurale (dove è possibile pernottare per una settimana), e il vigneto. Le coltivazioni sono state circondate da un fantastico giardino, da olivi, e da una tartufaia di circa tre ettari, composta da piante sottoposte a micorizzazione, tecnica sperimentata per la produzione di tartufo.

La caccia si svolge fra i boschi della tenuta, che si estendono sopra il vigneto di Merlot. “Abbiamo iniziato a cercare tartufo in questa foresta molto prima di piantare la tartufaia”, ricorda David Lang, il manager australiano della tenuta, che continua: “A causa di procedure di caccia sconsiderate, alcune piante un tempo produttive hanno ad oggi interrotto la loro relazione simbiotica col fungo e non sono più produttive. Ma l’area è da sempre vocata, e perciò vediamo se il nostro esperimento di coltivazione si rivelerà fruttuoso”.

Dopo la caccia, David e Mattia ci hanno invitato ad assaggiare i vini e le delizie locali: l’olio d’oliva prodotto nella valle, salse al tartufo fra cui un miele aromatizzato, salumi e formaggi umbri, pane fresco e olive.

In Italia, il tartufo è di solito abbinato a pasta, risotto, gnocchi, o tartare di carne: il pregiato fungo esalta le qualità aromatiche e il gusto di questi piatti, innalzandone il valore. Tuttavia, se questo può considerarsi un consiglio per realizzare pietanze gourmet, va detto che il modo preferito dai locali di gustare il tartufo è un trionfo della semplicità: una spolverata con una grattugia su pane fresco fragrante, un filo d’olio, e un pizzico di sale. Prerequisito fondamentale: servire il tutto con vista sulla meraviglia delle colline umbre tutt’intorno.